La mia città ed io

Cammino lungo la mia via, una mattina presto di un giorno feriale. Da quarant’anni vivo qui, in questa strada a senso unico, ai piedi dei colli e in odor di centro storico. Quando esco di casa, posso decidere se andare “in giù verso Andrea Costa” oppure “in su verso XXI Aprile”. Oggi scelgo Andrea Costa. Il traffico del mattino su questa via che apre la città verso l’ovest mi ricorda piacevolmente che è estate, le scuole sono chiuse e per qualcuno sono già cominciate le vacanze. Raggiungo a piedi i viali di circonvallazione ed entro in centro, attraverso Porta S. Isaia, di cui esiste solo un ologramma nella memoria, perché in realtà non c’è.

Decido di continuare su Via del Pratello: amo l’aria che si respira, densa, fra osterie e trattorie, bar di ambigua gestione, un carcere minorile che non diresti mai sia ancora lì, negozi polverosi e circoli culturali. Ogni volta che arrivo nell’ultimo tratto che si affaccia su San Francesco, mi fermo ad ammirare gli archi rampanti e la solennità sorniona delle tombe di chi, da secoli, sussurra ai passanti le origini gloriose della nostra Università.

Via IV Novembre, stretta e silenziosa, mi conduce verso il cuore della mia città. Piazza Maggiore è deserta a quest’ora. Il selciato grigio riluccica quasi nel tiepido sole. Anche i piccioni pare non si siano ancora svegliati. Ogni volta che arrivo qui, trovo una diversa angolazione con cui guardare quello che mi circonda. La facciata incompleta della Basilica ha un suo fascino architettonico ed evocativo: volevano veramente costruire una chiesa più grande di San Pietro a Roma, e il fallimento di questo tentativo non ha fatto altro che circondarla di un alone di forte orgoglio. Quando ero piccola correvo su quel rialzo della piazza, che qualche folle voleva addirittura rimuovere. E alla fine mi meritavo anche una bella brioche con la panna montata. Peccato che né la brioche né la panna siano più quelle degli Anni Settanta, ma il sapore in bocca resta.

Saluto il Gigante che domina virile quello che accade intorno e mi dirigo verso le vie delle botteghe e del mercato che si diramano dai portici del Pavaglione. Un tripudio di colori, sapori e profumi: prosciutti, formaggi, tortellini, e poi frutta, verdura, e ancora caffè, cioccolate, e pesce fresco (sfrontatamente di fianco ad una profumeria). Per fortuna, qui, i negozi di abbigliamento non hanno cancellato tutto.

Col naso all’insù rivolto alle Torri, cammino verso la mia piazza preferita: Santo Stefano. Il selciato tiene lontano i rumori della moderna urbanizzazione. Ci si siede sui muretti dei portici intorno: chi legge, chi conversa, chi semplicemente non fa nulla. E tutt’intorno silenzio. Le Sette Chiese inducono sempre ad un misticismo reverenziale: le pareti fredde e nude e la luce fioca traghettano ai tempi medievali, le reliquie mi danno la solita sottile nausea, il chiostro resta mirabile.

Passo in Corte Isolani e all’uscita, immancabilmente, cerco con lo sguardo quelle frecce piantate lassù da chissà quando. Ritorno verso la Asinelli. Vorrei ci fossero ancora tutte le torri di allora e non solo mozziconi qua e là. Non ho mai compreso l’urbanistica “innovativa” che sa intervenire più con demolizioni che con innovazioni, che ottimizza disprezzando il vecchio, anziché integrarlo con il nuovo.

Entro nel Ghetto: viuzze che parlano a chi sa ascoltare,  che sembrano comunque il posto migliore dove abitare. Così doveva aver pensato chi, in una serata qualunque, rientrava a casa in bicicletta dalla stazione. Chi lo aspettava al varco, invece, aveva deciso che nomi come Via dell’Inferno non dovevano rimanere parole sui cartelli e nelle mappe. Con pochi colpi li resuscitò.

E’ ormai tarda mattinata, il centro si sta popolando troppo per i miei gusti. Prendo l’autobus che passa per Saragozza. Un’indigena anziana commenta il comportamento maleducato di alcuni ragazzini, “che loro non hanno mica vissuto i tempi della guerra” e scende per Via Frassinago. Di “monumenti” così, a Bologna, ce ne sono ormai pochi, purtroppo. Il 20 procede oltre la Porta e continua il suo tragitto seguendo il Portico di San Luca. Chissà se, come allora, qualche bolognese fosse ancora disposto a passarsi mattoni per il bene della città?